Cittadinanza Referendum 2025

Cittadinanza, attivista Kwanza: “Come cittadina italiana sono delusa”

Roma, 9 giu. (askanews) – “Come cittadina italiana a livello individuale sono molto delusa dai miei concittadini e concittadine, perché questo era un momento in cui potevamo esprimere la nostra opinione su una questione che non ha a che vedere con i partiti, anzi siamo chiamati noi come cittadini a decidere sulla vita di persone che non hanno la possibilità di decidere, perché dovevamo decidere su persone che non hanno la cittadinanza italiana. Questa è in parte una mancata responsabilità di noi cittadine e cittadini, spero che questo trend cambi, perché è giusto, anche quando non si è d’accordo andare ad esprimere la propria opinione, questo è il principio della democrazia”: lo ha affermato Kwanza Musi Dos Santos, attivista del comitato di cittadinanza, a margine della conferenza stampa dopo la chiusura dei seggi alla Soho House a Roma.

“Assolutamente non è una sconfitta, meno dell’1% della copertura mediatica sui tg della Rai rispetto a questo referendum e anche non era spalleggiato da alcun partito in particolare. Questo è un risultato popolare”, ha aggiunto.

Referendum, il quesito sulla cittadinanza è quello che spariglia: ecco come è nato il risultato inaspettato

Il quorum resta un miraggio, ma il quesito sulla cittadinanza spariglia. I quesiti sul lavoro hanno ottenuto oltre l’85%, mentre la cittadinanza non ha superato il 65%. È questo il grande risultato politico dei referendum, segno di una divisione interna anche tra i sostenitori del quesito. La scheda gialla chiedeva all’elettore di abrogare la norma vigente e ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale richiesto agli stranieri maggiorenni per ottenere la cittadinanza italiana. Una modifica, promossa da +Europa, che ha visto il sostegno della maggior parte dei partiti di opposizione, ad eccezione del Movimento 5 Stelle, che ha lasciato libertà di voto ai propri elettori. L’esito del referendum ha dimostrato che, oltre ad aver avuto un ruolo determinate, sia sulla cittadinanza che su tutti gli altri quesiti, la campagna per l’astensionismo della maggioranza, in virtù della posizione secondo cui la legge attuale sarebbe già equilibrata.

Nonostante si pensasse che il quinto quesito potesse essere un altro traguardo del campolargo, ha sortito l’effetto contrario: divisioni interne tra i sostenitori del referendum. Secondo i dati riportati dal Viminale, ci sarebbe una lieve differenza tra favorevoli e contrari al quesito. Secondo alcuni possa aver influito anche il Movimento 5 Stelle, che, mentre  aveva posizioni nette sui quesiti sul lavoro, ha mantenuto invece un atteggiamento più neutro proprio sulla cittadinanza. Inoltre, è emerso che all’interno della Cgil e tra i lavoratori ci fossero pareri contrari sul tema, in quanto

porterebbe a diversi effetti sul mercato del lavoro, sia in termini di aumento della forza lavoro che di miglioramento delle condizioni di lavoro.

Inoltre, è possibile che abbia anche influito il fatto che molti reputavano “non adatto” il referendum come strumento per trattare un tema complesso come quello della cittadinanza. Mentre, erano rimaste da sole a sostenere chiaramente la riforma +Europa e Avs.

Il risultato finale è stato un quorum lontano, un quesito formalmente invalidato, ma anche una traccia politica da non ignorare: i dati mostrano una lieve differenza tra favorevoli e contrari, e una partecipazione relativamente più bassa, a conferma della delicatezza e della frammentazione del tema.

Referendum, sulla cittadinanza KO doppio: i “sì” fermi al 64%, flop del quesito che doveva trascinare gli elettori

Tra i cinque quesiti referendari promossi col voto di domenica 8 e lunedì 9 giugno c’è una sconfitta nella sconfitta per i promotori. Oltre infatti a non aver raggiunto il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto, c’è infatti un secondo tema che fa riflettere: la scheda gialla, il quesito sulla cittadinanza promosso da +Europa, ha incassato molti meno “sì” rispetto a quelli ottenuti dalle altre quattro consultazioni sul lavoro.

Il quesito proponeva di dimezzare da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale continuativa richiesto agli stranieri maggiorenni extracomunitari per poter presentare domanda di cittadinanza, non modificando invece tutti gli altri requisiti attualmente previsti dalla legge: la conoscenza della lingua italiana, la disponibilità di un reddito sufficiente e stabile, l’assenza di condanne penali, la regolarità contributiva e fiscale e l’assenza di cause ostative legate alla sicurezza nazionale.

I “sì” a scrutinio ancora in corso sono il 64% (con 15mila sezioni scrutinate), mentre negli altri quesiti sul lavoro si va dall’86 per cento di quello sulla responsabilità per gli infortuni sul lavoro all’89 per cento sul reintegro per i licenziamenti illegittimi.

Uno scarto di oltre venti punti nel segreto dell’urna, una parte consistente dell’elettorato si è dunque recata ai seggi per esprimere contrarietà alla concessione della cittadinanza italiana agli immigrati nel quesito che nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe potuto trascinato gli altri quattro e che invece si è rivelato il più fragile.

A contare probabilmente la “libertà di coscienza” lasciata da Gi

useppe Conte ai suoi. D’altra parte il leader del Movimento 5 Stelle ha tenuto anche nel recente passato posizioni a dir poco ambigue sul tema dell’immigrazione, firmando da presidente del Consiglio le leggi promosse da Matteo Salvini ai tempi del governo giallo-verde. Sulla cittadinanza inoltre Conte ha presentato da tempo una proposta di legge per l’introduzione dello Ius Scholae. “Sul quinto referendum quello sulla cittadinanza, lo dico molto chiaramente: dimezzare quelli che sono gli anni necessari per acquistare la cittadinanza per me non è la soluzione”, aveva detto nelle scorse settimane l’ex premier.

Ma più di tutto ha pesato un trentennio di narrazioni tossiche sui migranti, promosse da media e dalla destra ma ben accette anche da certa sinistra “riformista” ben lieta di firmare patti con i boia libici: un bombardamento propagandistico che ha sfondato in tutti gli elettorati, anche di chi si professa “progressista”.

Referendum su lavoro e cittadinanza, quorum lontano: affluenza al 30%, la destra esulta e attacca Cgil e opposizioni

Quanto ai primi dati provenienti dagli scrutini dei cinque questi, la prima scheda (relativa al reintegro per i licenziamenti illegittimi) è quella che riscuote la percentuale più alta di sì: 86,81%, con 1.322 sezioni scrutinate su 61.591. Per gli altri tre quesiti sul lavoro (licenziamenti, tutela contratti a termine, responsabilità per infortuni sul lavoro, i sì viaggiano tra l’83% e l’85%. Più divisiva la scheda sulla cittadinanza italiana: con 179 sezioni scrutinate, i sì sono al 59,19%, i no al 40,81%.

Quanto alle prime reazioni politiche da Fratelli d’Italia, il partito della premier Giorgia Meloni che si è recata domenica al seggio elettorale senza però ritirare le schede, gesto che di fatto ha lo stesso valore di chi non si è presentato (non verrà infatti conteggiata nel calcolo dell’affluenza), si esulta per il risultato attaccando i promotori: “L’unico vero obiettivo di questo referendum era far cadere il Governo Meloni. Alla fine, però, sono stati gli italiani a far cadere voi”, scrive FdI sui social.

Il quorum lontano venti punti, con l’affluenza che si ferma lontanissima da quel 50 per cento più uno degli aventi diritto alle urne per legittimare i cinque quesiti. I referendum su lavoro e cittadinanza proposti da Cgil e appoggiati da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra, col sostegno delle altre opposizioni esclusivamente sul quesito riguardante il dimezzamento da 10 a 5 anni del periodo di residenza continuativa per ottenere la cittadinanza, non passano.

Alle 15 di lunedì 9 giugno, con le urne chiuse, il quorum è un miraggio: lo era d’altronde già dopo i primi dati diffusi nella giornata di domenica, primo giorno di urne aperte, quando i numeri del Viminale evidenziavano che l’obiettivo fosse irrealistico.

Quanto ai primi dati provenienti dagli scrutini dei cinque questi, la prima scheda (relativa al reintegro per i licenziamenti illegittimi) è quella che riscuote la percentuale più alta di sì: 86,81%, con 1.322 sezioni scrutinate su 61.591. Per gli altri tre quesiti sul lavoro (licenziamenti, tutela contratti a termine, responsabilità per infortuni sul lavoro, i sì viaggiano tra l’83% e l’85%. Più divisiva la scheda sulla cittadinanza italiana: con 179 sezioni scrutinate, i sì sono al 59,19%, i no al 40,81%.

Quanto alle prime reazioni politiche da Fratelli d’Italia, il partito della premier Giorgia Meloni che si è recata domenica al seggio elettorale senza però ritirare le schede, gesto che di fatto ha lo stesso valore di chi non si è presentato (non verrà infatti conteggiata nel calcolo dell’affluenza), si esulta per il risultato attaccando i promotori: “L’unico vero obiettivo di questo referendum era far cadere il Governo Meloni. Alla fine, però, sono stati gli italiani a far cadere voi”, scrive FdI sui social.

“Le opposizioni hanno voluto trasformare i 5 referendum in un referendum sul governo Meloni. Il responso appare molto chiaro: il governo ne esce ulteriormente rafforzato e la sinistra ulteriormente indebolita”, aggiunge poi il fedelissimo della premier Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, intercettato fuori da Palazzo Chigi.

Di “devastante sconfitta per Schlein, Landini, Conte e compagni” parla invece la vicesegretaria della Lega, Silvia Sardone, mentre il vicepremier e leader del Carroccio Matteo Salvini dice di avere “grande rispetto per chi è andato a votare” ma che si tratta di una “enorme sconfitta per una sinistra che non ha più idee e credibilità e che non riesce a mobilitare neanche i propri elettori. In due anni e mezzo al governo del Paese abbiamo ottenuto il record di italiani al lavoro, disoccupazione ai minimi, crescita dei posti fissi e calo del precariato: alla sinistra lasciamo le chiacchiere, Lega e governo rispondono con i fatti, e gli italiani col voto (e il non voto) di ieri e oggi lo hanno capito benissimo”. Da Forza Italia il vicepresidente vicario dei deputati Raffaele Nevi scrive che il “fallimento” dei referendum è “una buona notizia per l’Italia, dimostra che gli italiani hanno archiviato definitivamente lo scontro tra lavoratori e imprenditori che si voleva riproporre”. Per l’altro vicepremier, il segretario di FI Antonio Tajani, la basse affluenza “è stata una sconfitta della sinistra e dell’opposizione che voleva tentare l’assalto al governo utilizzando il grimaldello dei referendum. La cosa è andata male, il governo si è rafforzato, l’opposizione si è indebolita”.

Referendum, Vincenzo De Luca punta il dito: quali sono gli “errori” commessi

Vincenzo De Luca punta il dito contro il referendum: eccessivamente politicizzato e inadatto ad affrontare questi temi.

Se in Francia c’è Matteo Salvini che festeggia il flop del referendum con i Patrioti, in Italia il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha espresso un giudizio critico. A margine della conferenza stampa di presentazione del Pdta Endometriosi a Palazzo Santa Lucia, De Luca ha spiegato le sue perplessità sull’uso dello strumento referendario per affrontare argomenti di grande complessità, sottolineando l’eccessiva politicizzazione che ha caratterizzato il dibattito.

L’intervento di Matteo Renzi e l’appello al centrosinistra

Anche Matteo Renzi, che in passato aveva già espresso diverse critiche sui quesiti del referendum, è intervenuto nuovamente a causa del flop in termini di partecipazione. Il leader di Italia Viva, su X (ex Twitter), è stato chiaro: “Il referendum non ha raggiunto il quorum, come facilmente prevedibile. I quesiti sul lavoro erano ideologici e rivolti al passato”.

L’ex premier ha dunque invitato il il centro sinistra a “parlare di futuro, non di passato”, per costruire un’alternativa all’attuale governo guidato dalla premier Giorgia Meloni.

Vincenzo De Luca critica la “politicizzazione” del referendum

Intervenendo sul referendum, come riportato da La Presse, Vincenzo De Luca ha dichiarato: “E’ stato sbagliato politicizzare eccessivamente il referendum, c’è il problema che quando si affrontano argomenti complessi lo strumento referendario non è quello più adatto. Alla fine i problemi si devono risolvere in sede parlamentare”.

Un giudizio netto quello espresso dal presidente della Regione Campania, aggiunge il sito La Presse, che evidenzia la distanza tra l’efficacia del Parlamento e i limiti di una consultazione popolare quando si tratta di questioni così delicate. “Io credo che, per quanto riguarda i temi del lavoro, siamo entrati in un’epoca nella quale dobbiamo cercare forme di collaborazione. Non basta il conflitto sociale”, ha concluso De Luca.

Se ti è piaciuto questo articolo, potrebbe interessarti anche: Referendum, Salvini festeggia il flop: l’appello per leggi più severe sulla cittadinanza.

Referendum, Vannacci: «Il Piave mormorò, la cittadinanza non si regala. Gli italiani hanno difeso la nostra identità»

L’accesso alla cittadinanza italiana non verrà semplificato. A parlare sono i dati del referendum abrogativo raccolti oggi, lunedì 9 giugno: il 40% degli italiani ha votato no al quesito che prevede la riduzione della residenza legale da 10 a 5 anni. Appena i risultati sono stati resi noti non si è fatto attendere il commento dei politici (soddisfatti e non) e non è mancato nemmeno quello di Roberto Vannacci, l’eurodeputato della Lega: «Il referendum ha fallito, la cittadinanza italiana non si regala».

«Difesa la nostra identità»

«Ancora una volta l’identità italiana è stata difesa da chi non la reputa solo un pezzo di carta o un espediente per fare cassetto elettorale – continua Vannacci in un post su X-. Gli italiani hanno scelto, e hanno parlato con voce chiara e ferma: la cittadinanza non si regala. Con buona pace dei salotti di sinistra, dei guardiani della morale e degli amanti della società fluida».

Il dubbio di Vannacci: «Chi chiedera scusa?»

«Ora rimane una domanda: le risorse e i milioni di euro spesi per questa inutile tornata referendaria chi li risarcisce? Chi chiederà scusa per aver sperperato fondi che avrebbero potuto essere spesi in sicurezza, sanità, scuola, lavoro, difesa delle piccole imprese, difesa delle frontiere e rimpatri? Ci diranno che la democrazia non ha prezzo… Ma questo fallimento preannunciato tutto è tranne democrazia», aggiunge. «Ma dobbiamo chiederci anche un’altra cosa: ma con un risultato talmente negativo di questo referendum, dopo l’ipocrisia degli strazianti appelli in una piazza pretestuosamente strumentalizzata e tenuto conto delle risorse inutilmente sprecate, non sarebbe il caso che i promotori dello stesso, almeno per dignità, si dimettessero e sparissero dalla vita sociale e politica di questa Nazione che li ha bocciati senza appello?”, scrive l’eurodeputato.

Referendum, Boccia (Pd): “Più votanti di quelli per Meloni alle politiche, non è una sconfitta”

“Quando si fa un referendum lo si fa per raggiungere il quorum, ma si sapeva che era difficilissimo, anche perché la presidente del Consiglio e il presidente del Senato avevano deciso di alimentare la sfiducia nella partecipazione”, ha detto ai microfoni dei cronisti – tra cui quelli di Fanpage.it – Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato. L’affluenza definitiva ai referendum è stata del 30,6%. Il quorum non è arrivato, ma per i dem c’era un altro obiettivo: “Noi speravamo che andassero a votare più delle 12 milioni e 300mila persone che hanno consentito a Giorgia Meloni di essere a Palazzo Chigi e così è stato. Tra l’altro su due temi identitari, lavoro e cittadinanza. Quindi per noi un ottimo risultato”.

Boccia, insomma, guarda al lato positivo. “Ovviamente abbiamo lavorato per raggiungere il quorum”, ma il Pd ora cerca di sottolineare che comunque sono andate alle urne più persone di quelle che, alle elezioni del 2022, votarono per il centrodestra. Anche considerando solo chi ha votato Sì (dunque ha abbracciato le posizioni del centrosinistra) sui quesiti, il numero dovrebbe essere simile a quello di elettori di Lega, FI e FdI tre anni fa. “Sappiamo che l’enorme massa di elettori che unitariamente hanno scelto di dare un segnale ci consente in qualsiasi momento di affrontare Giorgia Meloni a viso aperto in qualsiasi competizione elettorale“, ha tirato le somme Boccia.

A risponderli è stato Maurizio Gasparri, suo collega senatore e capogruppo di Forza Italia. “Cioè adesso che hanno fatto 12 milioni e sono bravi”, ha scherzato, facendo un paragone con la nazionale di calcio: “Noi abbiamo perso 3-0 con la Norvegia, ma abbiamo quasi fatto un gol alla fine e andiamo ai mondiali con i quasi gol? I pali ci sono nel calcio”. E ha insistito: “Ora, io non dico ‘adesso andate via, ritiratevi’, però manco gli devo dire ‘avete vinto’. Vabbè, Boccia, ti auguro mille di questi successi“.

Il dem comunque ha continuato sulla sua linea: “Vanno a votare 13-14 milioni di persone e loro cosa dicono? Che hanno vinto? Fanno finta di nulla, fischiettano. Dà il senso tutto questo della loro incapacità di vedere in faccia i problemi reali”.

Gasparri, peraltro, ha toccato uno dei temi su cui il centrodestra si è concentrato nelle ore dopo la chiusura dei seggi: la necessità di alzare il numero di firme necessario per indire un referendum. “Bisognerebbe che la facilità della raccolta delle firme”, ora che si può effettuare online, “fosse abbinata a un aumento del numero, perché sennò si rischia un’inflazione di referendum che poi non avendo un sostegno popolare adeguato in partenza, fanno spendere botte di centinaia di milioni senza raggiungere il quorum. È proprio secondo me un consiglio che do a tutti noi per evitare iniziative che costino inutilmente e che possano frustrare”.

La soglia prevista oggi è di 500mila firme. Alcune proposte prevederebbero di alzarla a un milione, o anche oltre. Alla domanda di Fanpage.it se limitare l’uso dei referendum (e quindi del voto degli elettori) per questioni economiche non potesse sollevare delle accuse, Gasparri ha replicato: “Avete detto ‘devono morire i partiti, tagliamo i seggi’… Secondo lei far diventare i parlamentari da mille a seicento da cosa è stato motivato? Da una questione di soldi, per mutilare la democrazia. Lì, allora i costi li dite, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti… Invece facciamo il referendum perché lo vogliono Fratoianni e Boccia e spendiamo 400 milioni”.

Referendum, il quesito sulla cittadinanza è quello che spariglia: ecco come è nato il risultato inaspettato

Il quorum resta un miraggio, ma il quesito sulla cittadinanza spariglia. I quesiti sul lavoro hanno ottenuto oltre l’85%, mentre la cittadinanza non ha superato il 65%. È questo il grande risultato politico dei referendum, segno di una divisione interna anche tra i sostenitori del quesito. La scheda gialla chiedeva all’elettore di abrogare la norma vigente e ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale richiesto agli stranieri maggiorenni per ottenere la cittadinanza italiana. Una modifica, promossa da +Europa, che ha visto il sostegno della maggior parte dei partiti di opposizione, ad eccezione del Movimento 5 Stelle, che ha lasciato libertà di voto ai propri elettori. L’esito del referendum ha dimostrato che, oltre ad aver avuto un ruolo determinate, sia sulla cittadinanza che su tutti gli altri quesiti, la campagna per l’astensionismo della maggioranza, in virtù della posizione secondo cui la legge attuale sarebbe già equilibrata.

Nonostante si pensasse che il quinto quesito potesse essere un altro traguardo del campolargo, ha sortito l’effetto contrario: divisioni interne tra i sostenitori del referendum. Secondo i dati riportati dal Viminale, ci sarebbe una lieve differenza tra favorevoli e contrari al quesito. Secondo alcuni possa aver influito anche il Movimento 5 Stelle, che, mentre  aveva posizioni nette sui quesiti sul lavoro, ha mantenuto invece un atteggiamento più neutro proprio sulla cittadinanza. Inoltre, è emerso che all’interno della Cgil e tra i lavoratori ci fossero pareri contrari sul tema, in quanto

porterebbe a diversi effetti sul mercato del lavoro, sia in termini di aumento della forza lavoro che di miglioramento delle condizioni di lavoro.

Inoltre, è possibile che abbia anche influito il fatto che molti reputavano “non adatto” il referendum come strumento per trattare un tema complesso come quello della cittadinanza. Mentre, erano rimaste da sole a sostenere chiaramente la riforma +Europa e Avs.

Il risultato finale è stato un quorum lontano, un quesito formalmente invalidato, ma anche una traccia politica da non ignorare: i dati mostrano una lieve differenza tra favorevoli e contrari, e una partecipazione relativamente più bassa, a conferma della delicatezza e della frammentazione del tema.

  • Dr. Raja SHAHED

    Doctorate Degree in Defense and Security Science (PhD)

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