TRUM Tariff – DAZI – Steuer – Le taux de merde

Dazi Trump, chi li paga e quanto ci guadagnano gli Usa dalle tariffe sull’import

Il prossimo 7 agosto 2025 entreranno in vigore le nuove tariffe doganali del presidente Donald Trump e le casse di Washington aspettano di essere rimpinzate. Numeri alla mano, solo a luglio gli Stati Uniti hanno incassato oltre 29 miliardi di dollari in dazi, il dato mensile più alto registrato fino ad oggi.

Secondo i dati più recenti rilasciati dal Dipartimento del Tesoro Usa nella sezione “Customs and Certain Excise Taxes”, solo nei primi sette mesi del 2025 il governo statunitense ha raccolto oltre 152 miliardi di dollari in entrate derivanti da dazi sull’importazione.

Si tratta di una cifra enorme, che testimonia l’effetto cumulativo della politica tariffaria introdotta e poi rafforzata da Donald Trump durante il suo secondo mandato alla Casa Bianca.

Dazi: quanto stanno incassando gli Usa

Per dare un’idea della crescita esponenziale degli incassi dai dazi, basta osservare l’andamento recente: ad aprile 2025 le entrate da dazi ammontavano a 17,4 miliardi, salite a 23,9 miliardi a maggio, poi a 28 miliardi a giugno, fino al record di luglio. E il trend sembra destinato a proseguire con ulteriori aumenti, dato che nuove modifiche tariffarie entreranno in vigore nei prossimi giorni.

L’imposizione di dazi come strumento di politica commerciale non è una novità per Trump. Già durante il suo primo mandato (2017-2021), l’ex presidente aveva avviato una serie di guerre commerciali — la più nota con la Cina — giustificate dalla necessità di riequilibrare rapporti commerciali considerati sfavorevoli agli Stati Uniti. Nel suo secondo mandato, Trump ha ripreso questa strategia con nuovo slancio, estendendo i dazi anche a partner storici come l’Unione Europea, il Giappone e la Corea del Sud, salvo poi siglare nuovi accordi bilaterali in extremis.

Proprio nei giorni precedenti all’entrata in vigore delle ultime modifiche tariffarie (fissate ora al 7 agosto 2025), Trump ha infatti annunciato una serie di accordi commerciali rivisti con 11 dei 15 principali partner economici degli USA.

Chi paga davvero i dazi?

Qui arriva il nodo centrale della questione: se è vero che i dazi vengono materialmente pagati dalle aziende americane che importano beni dall’estero, il loro effetto reale ricade spesso sui consumatori finali. Le imprese, infatti, per non veder ridotti i propri margini di profitto, tendono a trasferire il costo dell’aumento sulle famiglie, aumentando i prezzi di vendita dei prodotti importati.

Ad esempio, se un’azienda americana importa componenti elettronici dalla Cina con un dazio del 25%, è molto probabile che quel sovrapprezzo venga incluso nel prezzo finale del prodotto venduto negli USA. Così facendo, è il consumatore americano a sopportare — indirettamente — il peso delle politiche doganali.

Secondo vari analisti economici, questa dinamica potrebbe generare una pressione inflazionistica, che rischia di colpire soprattutto le fasce di popolazione a basso reddito, meno in grado di assorbire rincari su beni essenziali.

Il bilancio per le casse federali

Sul fronte delle entrate, però, il bilancio appare decisamente positivo. Funzionari dell’amministrazione Trump hanno dichiarato che le tariffe potrebbero portare a oltre 300 miliardi di dollari di incassi totali entro la fine dell’anno, una cifra che rappresenterebbe un’importante fonte di liquidità per il bilancio federale.

Tuttavia, va precisato che i dazi non sono una “nuova tassa sulle nazioni straniere”, come talvolta sostenuto nella narrazione politica, bensì un’imposta sulle importazioni pagata da chi acquista i beni stranieri, ossia le aziende e i cittadini americani.

Cosa aspettarsi nei prossimi mesi

Con l’introduzione dei nuovi dazi ad agosto e il riassetto di numerosi accordi bilaterali, sarà interessante osservare se gli incassi continueranno a crescere o se, al contrario, l’eccessivo costo per le imprese porterà a una riduzione delle importazioni. In ogni caso, la politica tariffaria di Trump rimane una delle colonne portanti della sua visione economica, insieme alla rinegoziazione degli accordi multilaterali in chiave più favorevole agli Stati Uniti.

Quello che è certo è che i dazi non sono una semplice voce di bilancio, ma una leva potente con conseguenze economiche, sociali e politiche profonde. E se il gettito fiscale è in forte crescita, resta da capire a quale prezzo — soprattutto per i consumatori americani e per l’equilibrio commerciale globale.

Sanzioni alla Russia, India contro Usa e Ue: “Per noi rapporti con Mosca sono vitali, per voi no”

La stretta sul petrolio russo e sui partner commerciali di Mosca minacciata da Ue e Usa scatena l’ira di Nuova Delhi: “Prenderci di mira è ingiustificato e irragionevole. L’India prenderà tutte le misure per salvaguardare i suoi interessi nazionali e la sicurezza economica”, ha detto Randhir Jaiswal, portavoce del ministero degli Esteri indiano.

Il ministero degli Esteri non si limita a respingere le accuse, ma denuncia una profonda contraddizione dell’Occidente: “Le stesse nazioni che criticano l’India stanno commerciando con la Russia. A differenza del nostro caso, tale commercio non è nemmeno una necessità nazionale vitale“, afferma Jaiswal. Nuova Dehli sottolinea che Washington minaccia tariffe sull’India per 63 miliardi di euro di commercio totale con la Russia, mentre l’Ue ne scambia 84 miliardi e gli stessi Stati Uniti dipendono da materiali strategici russi per settori critici come il nucleare e le auto elettriche.

L’entrata in vigore dei nuovi dazi di Trump contro l’India è prevista per dopodomani, giovedì 7 agosto.

India, come si è arrivati alle minacce di Trump

Dopo le prime settimane di idillio, i rapporti tra Russia e Usa sono progressivamente peggiorati: il presidente russo Vladimir Putin ha dimostrato di non dare importanza agli incontri diplomatici con Washington, tornando ad attaccare Kiev con ancora più forza dopo ogni tentativo di distensione mediato dagli Usa. Dopo aver dato l’ok all’invio di nuovi missili Patriot all’Ucraina, a metà luglio il presidente americano ha minacciato dazi fino al 500% per i Paesi che, come l’India, commerciano con la Russia se Putin non avesse firmato la tregua entro i successivi cinquanta giorni. Trump ha anche affermato che Putin “dice un sacco di stronzate” sul raggiungimento della tregua.

La risposta di Mosca non si è fatta attendere: media vicini al Cremlino hanno sottolineato che la Russia non ha paura degli ultimatum, “figuriamoci dei penultimatum” e hanno irriso il tycoon, descrivendolo come uno Zio Sam che spara bolle di sapone verso Mosca.

La climax è proseguita con le parole di Medvedev, vice segretario del Consiglio di Sicurezza russo, che su X ha scritto che “ogni ultimatum” lanciato dall’inquilino della Casa Bianca “è un passo verso la guerra” con la Nato. Anche in questo caso la replica è stata immediata: sul suo canale Telegram, Donald Trump ha minacciato Medvedev, che in passato aveva già bollato come “un fallito”: “si ricordi dei suoi film preferiti sugli zombie, e anche di quanto possa essere pericolosa la leggendaria ‘mano morta’”, ha scritto il presidente americano riferendosi al sistema segreto semi-automatico dell’era sovietica capace di lanciare missili nucleari se la leadership di Mosca fosse stata eliminata in un attacco nemico.

L’amministrazione Trump ha alzato il tiro sui partner di Mosca con una strategia a tenaglia. Il 31 luglio, il tycoon ha firmato un ordine esecutivo che impone dazi del 25% sui prodotti importati dall’India, minacciando tariffe molto più alti per i Paesi che commerciano petrolio russo. “L’India non si preoccupa di quante persone vengano uccise in Ucraina“, ha scritto Trump sul suo social Truth .

La risposta di Delhi è stata immediata e diplomaticamente affilata. Jaiswal ha ricordato che furono proprio gli Stati Uniti a incoraggiare inizialmente gli acquisti di gas russo da parte dell’India “per rafforzare la stabilità dei mercati energetici globali”.

I rapporti commerciali degli Usa con la Russia

Nel 2024 Washington ha importato dalla Russia beni per 3 miliardi di dollari, concentrati in settori altamente strategici. Il 90% delle importazioni statunitensi dalla Russia è composto da tre categorie fondamentali: fertilizzanti, palladio e uranio. I fertilizzanti rappresentano la voce principale con 944 milioni di dollari solo nei primi sette mesi del 2024, un record che supera i 900 milioni dell’intero 2022. Dopo il Canada, la Russia è il secondo fornitore di fertilizzanti per gli Stati Uniti, a cui forniscono principalmente urea granulare (410 milioni di dollari), nitrato di ammonio (235 milioni) e soluzioni di urea-nitrato di ammonio (190 milioni).

Il palladio russo alimenta l’industria automobilistica americana, in particolare il settore dei veicoli elettrici. A questo va aggiunto che la Russia controlla il 40% della produzione mondiale di palladio attraverso Nornickel, e gli Stati Uniti sono il principale acquirente mondiale del metallo russo. L’uranio esafluoruro per l’industria nucleare civile completa il trittico delle importazioni strategiche americane con Washington continua ad acquistare questo materiale essenziale per i suoi reattori nucleari, dimostrando la dipendenza degli States ance su questo fronte. Non a caso Donald Trump, ha premuto per ottenere la firma di Zelensky sull’Accordo per le terre rare.

I rapporti commerciali dell’Ue con Mosca

Anche i rapporti commerciali di Bruxelles con Mosca sono ancora attivi. Dati Eurostat alla mano, nel 2024, l’Ue ha importato dalla Russia beni per 35,9 miliardi di euro, combustibili fossili in primis: 22,3 miliardi di euro in carburanti minerali (62,1% del totale), 2,8 miliardi in prodotti chimici (7,8%) e 2,6 miliardi in ferro e acciaio (7,2%).

Il gas naturale liquefatto russo mantiene ancora una quota del 19% delle importazioni totali di Gnl nell’Ue nel primo trimestre 2025, nonostante il drastico calo rispetto al picco del 2022. Il nichel e il petrolio restano prodotti chiave importati dall’Europa, anche se con volumi ridotti del 21% e 17% rispettivamente tra il terzo trimestre 2022 e il 2024.

Le esportazioni europee verso la Russia nel 2024 hanno raggiunto 31,5 miliardi di euro, guidate da prodotti chimici (13,7 miliardi), alimentari e materie prime (5,9 miliardi), macchinari e attrezzature di trasporto (4,1 miliardi). Settori strategici che continuano a fluire verso Mosca nonostante le sanzioni.

Le importazioni europee dalla Russia sono calate dell’86% dal primo trimestre 2022; la bilancia commerciale dell’Ue con la Russia si è ridotta a 0,6 miliardi di euro nel terzo trimestre 2024, ma resta positiva per Mosca. Bruxelles ha adottato il 18° pacchetto di sanzioni contro la Russia, abbassando il tetto al prezzo del petrolio russo da 60 a 47,60 dollari al barile, ma mantiene con Mosca un volume di scambi commerciali superiore a quello dell’India.

Il nuovo tetto dinamico del prezzo, fissato al 15% sotto il valore medio di mercato, dovrebbe teoricamente ridurre i ricavi russi, ma si sta rivelando un’arma a doppio taglio: Cina, India e Turchia hanno aumentato drasticamente le importazioni di petrolio russo grazie agli sconti offerti dal price cap.

Le ricadute economiche del nuovo ordine energetico

Anche per l’India la guerra in Ucraina è stata uno spartiacque commerciale, ma in direzione opposta rispetto all’Occidente: oggi il petrolio russo rappresenta il 35-40% delle importazioni totali di petrolio dell’India, un balzo astronomico dal meno del 2% precedente all’invasione dell’Ucraina. Il commercio bilaterale tra Delhi e Mosca è schizzato a 68,7 miliardi di dollari nell’anno fiscale terminato a marzo 2025, quasi sei volte il valore pre-pandemico di 10,1 miliardi.

La congiuntura non è causale: quando le forniture tradizionali sono state dirottate verso l’Europa dopo lo scoppio del conflitto ucraino, l’India si è trovata costretta a diversificare. Il petrolio russo scontato è diventato una necessità per garantire “costi energetici prevedibili e accessibili al consumatore indiano” tanto che il portavoce Jaiswal parla di “interessi vitali” per il Paese. Il 18° pacchetto di sanzioni approvato da Bruxelles è una minaccia per l’economia indiana perché vieta l’importazione di prodotti petroliferi raffinati da greggio russo, anche se processati in Paesi terzi. In base a questa previsione, l’India rischia di perdere 14,3 miliardi di dollari di esportazioni annuali di prodotti petroliferi verso l’Ue, pari al business costruito negli ultimi tre anni raffinando petrolio russo scontato e rivendendo diesel e carburanti in Europa.

Bruxelles ha previsto eccezioni per Canada, Norvegia, Usa, Regno Unito e Svizzera e gli States hanno escluso dalla loro minacce commerciali Cina e Turchia, nonostante i loro rapporti con Mosca. Questa doppia disparità di trattamento ha alimentato la rabbia di Nuova Dehli.

Il nodo delle trattative commerciali Ue-India

La disputa sul petrolio russo si inserisce in un momento delicato per le relazioni commerciali tra Bruxelles e Delhi. Dal 17 giugno 2022, l’Ue ha rilanciato i negoziati per un accordo di libero scambio con l’India, dopo lo stallo del 2014. Due mesi fa, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha incontrato a Bruxelles il ministro degli Affari Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, per “rafforzare il partenariato strategico Ue-India“.

I numeri giustificano l’interesse reciproco: l’Ue è il principale partner commerciale dell’India con 124 miliardi di euro di scambi nel 2023, pari al 12,2% del commercio totale indiano. L’India è il nono partner dell’Ue, rappresentando il 2,2% del commercio totale del blocco. Il think tank Bruegel spinge per finalizzare l’accordo di cooperazione entro la fine del 2025, sostenendo che porterebbe “non solo benefici economici ma rafforzerebbe anche i legami economici e politici più ampi”. Ma la questione russa rischia di complicare i negoziati.

La Russia resta un partner strategico chiave per l’India, non solo per l’energia ma anche per la difesa – Mosca rappresenta oltre il 50% delle piattaforme militari operative indiane – e il nucleare civile. Un legame che affonda le radici nella storia: quando l’India condusse il primo test nucleare nel 1974, l’Unione Sovietica, a differenza degli Stati Uniti, non interruppe la cooperazione.

E ora Nuova Dehli chiede all’Occidente di non ostacolare i propri interessi commerciali.

L’Ue conferma la sospensione dei controdazi. Trump: “Se non fanno gli investimenti promessi dazi al 35%”

WASHINGTON (STATI UNITI) (ITALPRESS) –

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ipotizzato dazi al 35%

per cento per l

‘Unione europea

se questa

“non farà gli investimenti promessi”.

In un’intervista all’emittente Cnbc, il capo della Casa Bianca ha precisato che l’Ue

“ci ha garantito 600 milioni di dollari”

di investimenti.

“Se non arrivano, alzerò i dazi al 35%. E’ questo l’unico motivo per cui li ho abbassati al 15%”,

ha aggiunto osservando infine che le tariffe sui prodotti farmaceutici “potrebbero arrivare al 250%”. Le dichiarazioni giungono nello stesso giorno in cui l’

Ue ha confermato la sospensione dei contro-dazi con l’avvio delle procedure legislative in tal senso.

Gli Stati membri hanno ora due settimane di tempo per procedere all’approvazione, che avverrà per maggioranza qualificata. -Foto IPA Agency- (ITALPRESS).

  • Dr. Raja SHAHED

    Doctorate Degree in Defense and Security Science (PhD)

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