Quanto spenderà l’Italia per il riarmo? Ipotesi 31 miliardi e il rischio dei tagli altroveVia libera al piano Ue: Orban resta isolato
Forse perché presa dall’urgenza di fare un annuncio sulla difesa, Ursula von der Leyen nel suo piano originariamente da 800 miliardi di euro ha sovrapposto livelli diversi. E il discrimine fra i due conterà anche per le prospettive finanziarie dell’Italia.
Da un lato c’è un accordo vicino per un’emissione comune di debito europeo per 150 miliardi di euro: il modello è «Sure», il pacchetto per il sostegno alla disoccupazione che fu spinto dall’allora commissario Ue Paolo Gentiloni a Bruxelles all’inizio della pandemia. Da quel progetto all’Italia potrebbero arrivare circa 18 miliardi di euro, una tantum, utilizzabili per investimenti o nella spesa corrente per la difesa. Von der Leyen, quanto a questo, suggerisce di pensare ai droni, alla difesa antibalistica e contro gli attacchi ai cavi sottomarini. Si tratterebbe in ogni caso di un progetto destinato (per ora) a non ripetersi, anche se sarebbe di fatto il quarto eurobond in cinque anni dopo lo stesso Sure, il Recovery e un’emissione per l’Ucraina. Certo per l’Italia non implicherebbe problemi finanziari.
Poi ci sono i dilemmi del resto dell’ipotetico pacchetto von der Leyen, perché sarebbe composto di fondi solo nazionali. Qui le scelte per l’Italia e altri governi sono da soppesare con cura, tanto per i fondi in gioco che nel merito. Due giorni fa il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis ha discusso proprio di questa esigenza di cautela con la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Lilia Cavallari, nella sua veste di presidente del club europeo degli organismi omologhi. L’idea è che Bruxelles permetta una deviazione al rialzo della spesa pubblica fino all’1,5% del prodotto lordo, rispetto ai piani già indicati, per ogni Paese. L’Italia raccoglierebbe così fondi per la difesa in deficit fino a circa 31 miliardi in più. Ma qui molto resta avvolto nella nebbia. Innanzitutto si starebbe ancora discutendo fra governi se questa deviazione sia accettabile in un anno o vada spalmata fino a un quadriennio.
Restano poi altri aspetti su cui fare chiarezza. La spesa per la difesa è infatti diversa da quella per i vaccini in pandemia. Quest’ultima è effettuata una volta sola o per breve tempo, mentre un bilancio militare diventa credibile solo se è stabile anno dopo anno: essa contiene infatti spese per il personale e la manutenzione. Gli ipotetici 31 miliardi in più per l’Italia andrebbero dunque moltiplicati su molti esercizi finanziari annuali. Ma allora il debito pubblico continuerebbe a salire più a lungo, mentre oggi il governo prevede che dal 2027 inizi una discesa.
Non c’è dubbio che l’Italia debba rafforzarsi nella difesa antimissile, nell’aeronautica o nei mezzi di terra. Ma l’economia oggi è quasi ferma — ben sotto alle stime su cui il governo ha poggiato il bilancio — e un aumento del debito fino a fine decennio sarebbe una scelta delicata da fare, specie ora che la fine del rigore di bilancio a Berlino ha fatto impennare di 45 punti (0,45%) il costo annuo dell’indebitamento a lungo termine anche a Roma. Un bilancio della difesa stabilmente più alto rischia dunque di richiedere tagli di spesa altrove, non scontati: in settimana l’Istat ha certificato che nel 2024 la spending review si è fatta quasi solo sugli investimenti.
Se si trovano nuove risorse, infine, il ministero della Difesa ha già le sue priorità: chiede nuovi mezzi al più presto e della migliore qualità anche a costo di comprare dall’estero, soprattutto mezzi americani e lo scudo antibalistico israeliano con gli Arrows 3. Altre parti del governo invece vogliono incoraggiare la produzione e l’occupazione in Italia, e non sempre i due obiettivi sono compatibili.
Difesa comune, sì dei 27. Ma Orbán si sfila su Kiev
Giorni di rumors, due settimane e mezzo di iniziative in formato puzzle, e finalmente, ieri, tutti e 27 capi di Stato e di governo faccia a faccia. Attorno al tavolo del Consiglio europeo straordinario, l’Ue al gran completo sgrana il «rosario» costituito dai 5 punti del piano ReArm Europe messo in campo da Von der Leyen.
«È un momento spartiacque, l’Europa è in pericolo ed è importante difendersi», dice la presidente della Commissione facendo da megafono a quanto già detto ai francesi da Macron. C’è anche il presidente ucraino, a Bruxelles, arrivato accompagnato dalla stessa Ursula e dal presidente del Consiglio europeo Costa. Zelensky ringrazia per «il nuovo programma a favore della sicurezza, sentiamo di non essere soli». Ma divisi sì, ancora.
Secondo Ursula, «l’Ucraina è parte della famiglia europea». Al momento, nello spirito. E neppure di tutti. Tocca ai leader affrontare dunque i nodi cruciali dell’offerta messa in campo dalla Commissione per spendere di più in difesa (fino a 800 miliardi) senza incorrere in procedure di infrazione. Il summit aperto dall’annuncio roboante di Costa («Siamo qui per prendere decisioni per costruire la difesa comune, la sicurezza dell’Europa non è separata dall’Ucraina») cozza con i distinguo. Sin da subito si capisce che la difficoltà è far digerire al premier ungherese Orbán e allo slovacco Fico (che si ammorbidisce grazie a un’apertura sull’approvvigionamento di gas) l’impostazione scelta da Von der Leyen e Macron per aprire i rubinetti del ReArm Europe: «È un piano che aiuterà l’Ucraina, gli Stati potranno investire nell’industria della difesa o procurarsi equipaggiamenti militari e darli all’Ucraina». Legando però l’operazione «riarmo» alla richiesta di compattarsi al fianco di Kiev con aiuti, l’unanimità salta. Si adottano infatti conclusioni solo sulla parte difesa Ue: col via libera dei 27 al piano «ReArm». Von der Leyen, Costa e Macron (che alla vigilia ha invitato Orbán a Parigi) volevano piazzare pure l’unanimità sull’integrità territoriale di Kiev: il documento comune si trasforma in una mera dichiarazione di Costa, votata a 26. Orban si sfila. Resta la difesa comune. Tutti favorevoli all’idea, ma non quella che vuole Macron. La premier Meloni va in pressing nella riunione per cambiare nome al piano. Fuorviante ma promosso comunque da Roma, con «tecnicalità» da chiarire. Per la premier non è solo una questione bellica, si tratta di infrastrutture per la sicurezza, intelligence e cyber, e di procedure accelerate per le catastrofi (Tajani lega per esempio la difesa europea anche agli interventi della Protezione civile). Poi Meloni al summit mette sul piatto l’idea di contabilizzare gli investimenti del piano alla voce contributi Nato, rendendolo una prova di autonomia europea, ma anche di collaborazione e ascolto con gli Usa. Sintonia con Varsavia e Berlino. Facoltativo resta l’uso dei fondi di coesione, con la certezza che Roma non pescherà lì per la difesa. Zelensky lascia Bruxelles dopo il pranzo con i leader e prima del summit vero e proprio; ma non prima d’essersi seduto con Macron per un bilaterale.
La Francia (oltre alla Gran Bretagna) gli sta fornendo intelligence militare dopo che Washington ha annunciato che avrebbe congelato la condivisione di informazioni con Kiev. Nel colloquio Parigi-Kiev, c’è anche il ricorso francese alle risorse minerarie da impiegare nell’industria bellica d’Oltralpe nello scenario disegnato dall’Eliseo. Appuntamento nella capitale francese l’11 marzo, con i vertici militari dei Paesi pronti a partire boots on the ground una volta siglata la pace per garantirla. Il Regno Unito ha avuto colloqui preliminari con circa 20 Paesi in larga parte europei e del Commonwealth per un’adesione a una «coalizione dei volenterosi». Scettiche, sul punto, Roma e Madrid.
Leader dell’Ue a Bruxelles per discutere del futuro dell’Ucraina e delle spese militari
Alla luce della richiesta massimalista di Donald Trump di raggiungere un accordo per porre fine alla guerra in Russia il prima possibile, i 27 leader dell’Unione europea si riuniscono a Bruxelles per discutere del futuro dell’Ucraina, un paese candidato all’adesione al blocco,
È la prima volta che i capi di Stato e di governo si incontrano nella stessa stanza da quando il presidente americano ha tenuto una telefonata di 90 minuti con Vladimir Putin e ha deciso di avviare negoziati per porre fine all’invasione.
Il crescente consenso di Trump alle argomentazioni del Cremlino, il suo rifiuto di condannare la Russia come aggressore e l’acceso scontro con Volodymyr Zelenskyi nello studio ovale hanno profondamente scosso l’Ue e alimentato i timori che Washington concluda un accordo con Mosca e poi costringa Kiev al prendere o lasciare.
Le tensioni sono leggermente diminuite questa settimana dopo che Zelensky ha espresso rammarico per lo scontro nello studio ovale e ha elogiato la “forte leadership” di Trump. Il capo di Stato Usa ha risposto positivamente, dicendo di “apprezzare” le parole di Zelensky. “È ora di porre fine a questa guerra insensata. Se vuoi porre fine alle guerre, devi parlare con entrambe le parti”, ha detto Trump al Congresso durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione.
Stati Uniti sospendono la condivisione dell’intelligence con Kiev
Nonostante l’apparente distensione, la Casa Bianca ha mantenuto una sospensione temporanea degli aiuti militari e della condivisione delle informazioni con Kiev, due decisioni che rischiano di avere conseguenze disastrose per il Paese in un momento critico sul campo di battaglia.
“Gli Stati Uniti d’America, nostro alleato, hanno cambiato posizione su questa guerra, sostenendo meno l’Ucraina e lasciando dubbi su ciò che verrà dopo”, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron in un discorso televisivo. “Voglio credere che gli Stati Uniti saranno al nostro fianco, ma dobbiamo essere pronti perché non sia così”, ha aggiunto.
Durante il vertice speciale di giovedì 6 marzo, convocato in risposta ai colloqui tra Stati Uniti e Russia, i 27 leader cercheranno di mostrare unità e risolutezza nel loro sostegno collettivo all’Ucraina e risponderanno ad alcune delle domande più urgenti, come il tipo di garanzie di sicurezza che l’Ue può permettersi di fornire, quanti soldi aggiuntivi è disposta a stanziare e fino a che punto può spingersi per compensare l’assenza degli Stati Uniti.
Dubbi sull’inviato speciale Ue per i negoziati
Potrebbe essere discussa anche la questione se nominare un inviato speciale per i negoziati, anche se non è probabile che in questa fase venga presentata una lista ristretta di nomi. Zelensky si recherà in Belgio per rivolgersi personalmente ai capi di Stato e di governo.
Ma lo sforzo di serrare i ranghi potrebbe essere ostacolato da Viktor Orbán, che si è schierato a pieno titolo con la nuova amministrazione statunitense e ha minacciato di far fallire qualsiasi nuova iniziativa che, a suo avviso, possa minare la spinta di Trump a concludere accordi. Orbán si oppone in particolare all’approccio della “pace attraverso la forza” in quanto comporta un’ulteriore assistenza militare a Kiev.
“C’è un divario strategico, una frattura transatlantica tra la maggior parte dell’Europa e gli Stati Uniti sotto il presidente Trump”, ha detto Orbán prima del vertice.
Non è chiaro in questa fase quanta influenza avrà Orbán nelle conclusioni congiunte del vertice, che devono essere concordate per consenso. Il premier ungherese ha sempre revocato il suo potere di veto solo per poi cedere all’ultimo minuto.**
Diplomatici e funzionari hanno passato gli ultimi giorni a mettere a punto le conclusioni per soddisfare tutti i punti di vista, ma non escludono lo scenario in cui un testo finale, con più ambizioni, venga approvato da 26 leader, o 25 se la Slovacchia si unisce al campo ungherese.
L’ultima bozza di conclusioni vista da Euronews include un breve riferimento al fondo comune proposto dall’Alta rappresentante Kaja Kallas per aumentare rapidamente le forniture letali e non letali all’Ucraina, su cui l’Ungheria ha suggerito di porre il veto.
Finora non è stato indicato alcun numero sul piano di Kallas, con speculazioni a Bruxelles che vanno da 10 miliardi di euro fino a 40 miliardi di euro.
“L’iniziativa sarà menzionata chiaramente. Deve solo essere elaborata di più”, ha detto un alto diplomatico dell’Ue e ha aggiunto: “Ci piacerebbe vedere una somma (di denaro, ndr). Sarebbe stato un segnale molto chiaro per l’Ucraina, ma anche per gli altri, che ci stiamo assumendo le nostre responsabilità”.
La proposta della coalizione di volenterosi
L’opposizione di Orbán coincide con l’emergere di una “coalizione dei volenterosi” composta da Paesi democratici impegnati a sostenere l’Ucraina durante e dopo i negoziati attraverso garanzie di sicurezza, come militari e protezione aerea.
Francia, Danimarca e Svezia, oltre a Paesi non Ue come Regno Unito, Norvegia e Australia, hanno già espresso interesse a entrare a far parte della nascente coalizione. Tutti, tuttavia, hanno insistito sul fatto che il loro contributo debba essere abbinato a un sostegno americano. Trump non ha mostrato alcuna indicazione che sarebbe disposto a fornire tale sostegno, proponendo invece un accordo sui minerali come una sorta di deterrenza economica contro la Russia.
“Si tratta di un dibattito prematuro. Non abbiamo un accordo di pace, non abbiamo nemmeno negoziati per raggiungere un cessate il fuoco. È prematuro specificare cosa deve essere fatto”, ha detto un alto funzionario dell’Ue e ha poi aggiunto: “Ma non possiamo ignorare che il contesto è cambiato. Molti dei nostri Stati membri hanno dichiarato che sarebbero disposti a partecipare alla coalizione”.
Il vertice di giovedì affronterà anche la spesa per la difesa, sulla base della recente proposta di Ursula von der Leyen di mobilitare fino a 800 miliardi di euro in investimenti aggiuntivi.
Per Bruxelles, entrambe le questioni, il futuro dell’Ucraina e la spesa militare, sono diventate essenzialmente le due facce della stessa medaglia. Garantire la resistenza dell’Ucraina come democrazia sovrana e stabile richiederà agli Stati membri di rafforzare i propri eserciti nazionali per tenere sotto controllo l’espansionismo della Russia e garantire una pace duratura.
“Non ci possono essere negoziati che influiscano sulla sicurezza europea senza il coinvolgimento dell’Europa”, afferma la bozza di conclusioni. “La sicurezza dell’Ucraina, dell’Europa e quella globale sono intrecciate”.
Sì all’articolo 5: «Soluzione duratura, raccogliamo i frutti di quanto fatto»
«Sulle truppe europee sono molto molto perplessa, non lo considero efficace», ha spiegato Meloni ribadendo di non voler in nessun caso impiegare uomini italiani in una eventuale missione militare in territorio ucraino. Proposta alternativa, che invece trova orecchie pronte all’ascolto nella premier italiana, è quella di estendere l’articolo 5 della Nato a Kiev come arma di deterrenza contro eventuali aggressioni ulteriori. «Meglio pensare a soluzioni più durature», ha insistito. «E le garanzie di sicurezza è bene che rimangano nell’alveo dell’Alleanza atlantica». E mentre gli attacchi di Vladimir Putin a Emmanuel Macron sono definite «manifestazioni verso il proprio pubblico», a Giorgia Meloni preme ricordare: «Abbiamo lavorato perché Ucraina rimanesse in piedi e ci fossero condizioni per sedersi al tavolo. Oggi ci sono quelle condizioni e dobbiamo raccogliere i frutti di quello che abbiamo fatto».
Rearm Europe, i dubbi sulle tranche da 150 miliardi
Per quanto riguarda il piano «Rearm Europe», che oggi ha passato lo scrutinio del Consiglio straordinario, Meloni ha rimarcato con soddisfazione che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha accolto la proposta di escludere le spese per la difesa dal computo deficit-Pil. Non ha invece nascosto le sue perplessità per quanto riguarda le maxi-tranche di prestito da 150 miliardi previste: «In qualche maniera hanno a che fare con il debito, e ci sono dei rischi. Stiamo pensando di proporre, tramite il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, strumenti di garanzie su investimenti privati sul modello InvestEu». Permettendo così ai Paesi di reperire risorse con garanzie europee a protezione di quegli investimenti.
Meloni: «Non useremo fondi di coesione»
Esclusa invece in tronco, almeno per l’Italia, la possibilità di dirottare una parte dei fondi di coesione verso fondi per la difesa: «I Paesi possono farlo, ma su base volontaria. Sarà una strategia usata dagli Stati più esposti. Io chiarirò al Parlamento che non intendo usarli». La premier ha poi ricordato che miliardi e miliardi di euro non saranno spesi in “riarmo” ma in “difesa”: «Stiamo dando un messaggio non chiaro ai cittadini. Non si parla solo di armi, si parla anche di materie prime, cybersicurezza, infrastrutture critiche… il tema riguarda tantissimi domini della vita quotidiana del cittadino».
Zelensky a Bruxelles: «Costruiamo sicurezza e difesa»
Volodymyr Zelensky è arrivato a Bruxelles per partecipare al Consiglio europeo straordinario convocato da Antonio Costa dopo la fuga in avanti di Donald Trump nei negoziati con la Russia per mettere fine «al più presto» alla guerra in Ucraina. «Grazie ai leader europei per il sostegno assicuratoci in questi anni e ora, per noi è molto importante, un segnale forte per il popolo e l’esercito ucraino», ha detto il leader di Kiev prima di entrare nella sala del Consiglio europeo al palazzo Justus Lipsius. «Oggi siamo qui per prendere decisioni e dare risultati, per costruire la difesa e la sicurezza europea. E spendere meglio. La sicurezza dell’Europa non è separata dall’Ucraina. Caro Volodymyr, siamo con te dal primo giorno e continueremo», gli ha detto sorridendo il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Con loro anche la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che oggi discuterà coi leader dei 27 il piano «ReArm Europe» messo a punto dalla Commissione per dare la scossa alla difesa europea. «Per l’Europa è un momento chiave, affronta un pericolo chiaro e presente e quindi deve essere in grado di difendersi, così come dobbiamo mettere l’Ucraina nella posizione di proteggersi e spingere per una pace duratura e giusta. Vogliamo arrivare alla pace tramite la forza, e per questo oggi presenterò il piano «ReArm Europe» da 800 miliardi di euro per acquistare capacità militari, per riarmare l’Europa ma anche l’Ucraina. Saremo con l’Ucraina per tutto il tempo che sarà necessario».
Decisioni urgenti sull’Ucraina: il ruolo di Meloni
Oltre a discutere il piano di riarmo di medio periodo, i leader dei Paesi Ue dovranno rispondere alla domanda sul che fare dopo il taglio degli aiuti militari e dell’intelligence all’Ucraina deciso dall’Amministrazione Trump. Cosa fare per scongiurare il crollo dell’esercito di Kiev sul campo di battaglia, dunque, e cosa fare per evitare di essere tagliati fuori da un negoziato a due Usa-Russia che rischia di produrre esiti nefasti per l’Europa, oltre che per l’Ucraina. Tra le posizioni più attese, quella della premier italiana Giorgia Meloni, considerata una delle leader più salde dell’Ue in questo momento e una possibile mediatrice chiave tra l’Europa e gli Usa di Donald Trump, visti gli eccellenti rapporti politici e personali. Le opposizioni in Italia accusano però la premier di mantenersi troppo ambigua sui temi cruciali in discussione oggi a Bruxelles.